Michael Stuhlbarg in una scena del film A serious man

Un film chiuso in sé stesso, estremamente personale e distante, per certi versi criptico e difficile da capire, in altre parole un capolavoro.

Cinismo e pessimismo allo stato puro per A serious man, l’annichilente rappresentazione della vita firmata dai Fratelli Coen.  È il 1967, in una comunità ebraica di un piccolo e non precisato paese del Mid West. Larry Gopnik (Michael Stuhlbarg), docente di fisica, è il classico uomo medio, senza particolari qualità e alla ricerca di un’esistenza normale e felice.

La vita gli riserva, invece, una serie interminabile di guai: la moglie lo lascia per il più affermato Sy Ableman (Fred Melamed), il figlio fuma spinelli e lo interpella solo per regolare l’antenna tv, la figlia gli ruba i soldi per farsi la plastica al naso, il fratello psicolabile non lo lascia dormire con il suo continuo russare, uno studente coreano lo corrompe con del denaro e lo minaccia di diffamazione, un vicino di casa non rispetta i confini della proprietà, un’altra vicina si offre al suo sguardo completamente nuda mentre prende il sole in giardino. Incapace di risolvere l’incessante accumularsi di situazioni problematiche, Larry decide di rivolgersi ai tre rabbini della comunità per trovare delle risposte e raddrizzare la propria vita. Senza arrivare a nessuna soluzione definitiva, in attesa di una cattedra all’Università, Larry insegue la strada per diventare un mensch, un uomo serio.

A serious man descrive la vita com’è nella sua imprevedibilità, o meglio nel suo essere dominata non tanto dalla scelta dell’uomo, quanto dal caso o dal destino. E proprio in questo senso di “schiavitù” trova sfogo il cinico pessimismo dei Fratelli di Minneapolis. Il film è claustrofobico, ermetico e allo stesso tempo serio, proprio come dice il titolo. Siamo lontani dai colossali spazi aperti di Fargo (Coen, 1996) o di Non è un paese per vecchi (Coen, 2007).

A serious man è una pellicola tutta d’interni, ma sono interni opprimenti, come quelli di Revolutionary Road (Mendes, 2008), che preparano a scene tragiche. Oltremodo cinica e grottesca, la comicità è comunque presente, ma è ben distante da quella di Burn after reading (Coen, 2008) o di The big Lebowski (Coen, 1998), in cui il personaggio di Drugo sembra condividere il medesimo sfortunato destino di Larry.

Un’ironia più nera che mai, spesso condensabile nel binomio risata/morte, come dimostra l’improvviso infarto di un corpulento avvocato di fronte all’incredulo Larry. Lo stile con cui i Fratelli hanno “confezionato” la pellicola ne fa, ancora una volta, un pezzo di grande cinema, a partire dall’uso prevalente dei primissimi piani, che mettono in risalto la mimica facciale e le espressioni inebetite dei personaggi, passando dalla bellissima Somebody to love dei Jefferson Airplane, fino all’impiego di un montaggio che evoca perfettamente il senso di casualità, vero motore della storia (straordinaria e fuorviante al tempo stesso la sequenza del duplice incidente stradale di Larry e del suo rivale in amore Sy).

A sostegno del grande stile dell’opera non poteva mancare di certo una sceneggiatura che descrive minuziosamente i personaggi e le situazioni, senza scadere nel banale o nel prevedibile. Tutto è incorniciato da dialoghi a dir poco sarcastici e pungenti, capaci di forzare la mano del cinismo dilagante che permea tutte le situazioni disastrose di Larry.

Nel film c’è tutto: critica religiosa, nel dipingere un ebraismo radicato in rituali ormai privi di significato, critica sociale e culturale nei rapporti tra familiari, compagni di scuola e vicinato, mettendo in risalto tutti i limiti dell’Uomo.

I Coen aprono uno spaccato sulla religione ebraica, infarcendo la pellicola di termini, rituali e dialoghi a volte non completamente comprensibili perché fortemente radicati nella tradizione giudaica. Come da loro stessi affermato più volte, si sono calati nella loro infanzia, prendendo spunto da personaggi conosciuti realmente, da situazioni vissute, realizzando così un film chiuso in sé stesso, estremamente personale e distante, per certi versi criptico e difficile da capire. Quello che altrimenti si definirebbe un autentico capolavoro.

★★★★★ Capolavoro