Ambienti urbani claustrofobici, spazi di un mondo ingannevole, luoghi di una detective story che sprofonda nell’oscurità del noir classico.
Atmosfere cupe, irreali e allucinate, vicoli lucenti inondati dalla pioggia, architetture disegnate dalle ombre, nere silhouette illuminate da luci radenti, questi sono i luoghi di The Batman, una coinvolgente detective story che sprofonda nell’oscurità del noir classico.
La pellicola diretta da Matt Reeves (Cloverfield, Apes Revolution) riporta sullo schermo l’uomo pipistrello a distanza di dieci anni dall’ultimo capitolo della trilogia di Nolan The Dark Knight Rises e lo fa superbamente in modo diverso, collocandosi all’interno di quella nuova prospettiva iniziata dalla DC Comics con Joker (Phillips, 2019).
Questo non è il classico cinecomic in stile MCU, concentrato di azione pompato di steroidi e buonismo, ma un oscuro thriller investigativo sapientemente costruito – per quanto un po’ troppo lungo – e magistralmente diretto, che scava nella psicologia dei personaggi con uno sguardo silenzioso, crudamente introspettivo. Gotham City non rappresenta un mondo di impavidi supereroi, di enfatizzate tecnologie da fumetto che sfidano le leggi della fisica, di funambolici combattimenti dove l’azione domina la scena con esplosioni e distruzione.
Al contrario siamo di fronte ad uno scenario in cui un uomo travagliato veste i panni dell’anti-eroe, vigilante e vendicatore, aiutato da sistemi prevalentemente analogici, ma reali, dove una tuta alare sostituisce a ragion veduta il Batmantello e l’investigazione diventa il motore principale della vicenda.
Questo nuovo universo, che vede The Batman (al pari di Joker) come produzione stand-alone, fuori dalla linea temporale di tutte le pellicole del DC Universe, è un luogo oscuro che guarda verso l’interno, verso chi lo abita, in cui la rappresentazione dei personaggi assume un carattere più interiore, dando spazio alle paure, sfogo alle ossessioni, forma alle paranoie. Il male non è unicamente rappresentato da pochi esponenti di spicco della malavita e dalle loro gang di strada, ma dilaga in ogni meandro della collettività tanto da raggiungere la stessa famiglia Wayne, a sottolineare quanto la società sia marcia, corrotta e senza speranza.
È un mondo di decadenza, in cui l’unica via d’uscita è sicuramente sporca e dolorosa. Un ambiente urbano spaventoso e claustrofobico fatto di strade, palazzi e sotterranei, trappole dalle quali è impossibile uscire, spazi di un mondo ingannevole e opprimente, dove lo stesso Batman vive nell’ombra, rassegnato alla sua condizione di tormentata sopravvivenza più che di esistenza.
Gli ambienti interni sono bui o illuminati da luci di taglio che, attraverso l’uso espressionistico del chiaro-scuro, restituiscono atmosfere sinistre. In questi luoghi non c’è posto per Bruce Wayne, la cui presenza è relegata a poche sequenze, ma solo per il suo alter ego. Una nera silhouette che si staglia contro il cielo al tramonto, un uomo dagli occhi tristi dipinti di nero slavato, lontana memoria di Eric Draven (The Crow, Proyas 1994), incapace di dormire, per il quale la reminiscenza delle notti trascorse a pestare criminali è un’allucinazione più che un ricordo.
Il magnate a capo delle Wayne Enterprises, benefattore e filantropo, donnaiolo e collezionista di auto cede il passo al suo vero io, al suo sé interiore, a quel lato oscuro che rende questo Batman il vero Dark Knight, capace di ottenebrare tutti i precedenti – eccezion fatta per quello burtoniano che occupa una nicchia a sé stante – Robert Pattinson porta sullo schermo uno straordinario uomo pipistrello, forse il migliore di sempre, ossessionato e vendicativo, ma anche solo ed introverso, incerto e rabbioso, con quello sguardo tagliente che intimorisce e dà voce al suo tragico silenzio.
È una presenza inquietante che solo Jim Gordon, oltre al sempre fidato Alfred (Andy Serkis), riesce a tollerare, in un rapporto di mutuo rispetto che va oltre al saltuario reciproco aiuto, ma si configura, invece, come qualcosa di più profondo, una sorta di tacita alleanza. Jeffrey Wright con quel fare pacato, la voce profonda e sussurrata, il volto teso dietro gli occhiali da vista, caratterizza superbamente l’ufficiale di polizia di Gotham, conferendogli tutte le caratteristiche del detective noir.
Gordon si ostina a lavorare in modo onesto, malgrado la dilagante corruzione delle forze dell’ordine, è afflitto e disilluso, ma non è cinico, crede fermamente nella giustizia, nonostante una nuova minaccia criminale metta ripetutamente alla prova la sua calma e determinazione. Questa relazione good cop/bad cop, tra poliziotto e vigilante è il vero fulcro della narrazione, che permettere alla loro indagine di sollevare il velo di maya e scoprire la verità che si nasconde oltre l’illusione, dietro ogni indovinello.
La caccia all’Enigmista porterà lentamente Bruce Wayne alla scoperta di una realtà molto più intricata, inquietante e dolorosa, articolata attraverso un’ottima sceneggiatura, capace di dare un buon ritmo all’intera vicenda che, tuttavia, cala nel finale a causa di un numero eccessivo di enigmi da risolvere, portando la durata dell’intera pellicola a quasi tre ore.
Paul Dano restituisce un’interpretazione spaventosa, squilibrata e horrorifica di Edward Nigma, nascosto dietro una maschera di pelle nera che ricorda da vicino quella di Eldon Robeson in The People Under the Stairs (Craven, 1991), la testa avvolta nel cellophane per non lasciare tracce di DNA, esplosivi artigianali e sistemi di tortura malati. Ma è nel portare in scena l’instabilità psichica di un personaggio disturbato mentalmente dove Dano offre il meglio di sé, attraverso sguardi allucinati, ghigni malefici, esplosioni d’ira incontrollata e un uso del corpo teatrale.
A lui, primo antagonista di Pattinson, si affianca un irriconoscibile Colin Farrel capace di dare forma e carattere ad un meraviglioso Pinguino e un John Turturro in grande spolvero che veste i panni di Carmine Falcone, il boss della criminalità di Gotham, vero padrone della città. A questo ensemble di grandi nomi, dentro e fuori la narrazione, si accompagna quello di Zoë Kravitz e della sua Selina Kyle, donna gatto lontana da quella di Michelle Pfeiffer, la più bella, sensuale e intrigante Catwoman di sempre, prima di oggi.
La tuta nera attillata si modella perfettamente intorno al fisico minuto e snello della Kravitz che interpreta una ragazza dal passato travagliato e complesso, ma tutt’altro che squilibrata, una donna che, al pari del duo Gordon/Batman, possiede un forte senso della giustizia. Lei rappresenta una sorta di femme fatale, l’unica capace di penetrare la solitudine del cavaliere oscuro, fare breccia nel suo tormento e, contrariamente ai canoni del noir classico, suscitare in lui l’azione del cambiamento.
Ma ciò che rende veramente superlativo The Batman è la regia. Reeves ha uno stile dettagliato e ricercato, quasi manierato. Le atmosfere oniriche e allucinate sono rese perfettamente dagli sfuocati, dai dettagli e dalle inquadrature oblique, mentre il largo uso della profondità di campo contribuisce a generare quella sensazione di claustrofobia, come se gli ambienti cupi e opprimenti si chiudessero attorno ai protagonisti, imprigionandoli nella scena. La pellicola è girata quasi interamente di notte e durante le ore che precedono l’alba o il tramonto, mentre la pioggia fa da sfondo alla maggior parte delle riprese in esterno.
L’uso impeccabile di luci e ombre aumenta esponenzialmente il tono drammatico dell’impianto visivo, soprattutto nella denotazione degli spazi interni su cui spiccano la Batcaverna, ricavata nella fermata della metropolitana abbandonata sotto il complesso delle Wayne Enterprises e la residenza di Bruce Wayne, una torre gotica che si protende da un’ala del medesimo palazzo.
Menzione a parte meritano colonna sonora e sound design di Michael Giacchino, la prima costituita da brani come l’Ave Maria di Schubert e Something in the Way dei Nirvana, il secondo caratterizzato da motivi inquietanti che accompagnano il vendicatore oscuro in tutte le apparizioni. Il suo arrivo è spesso preceduto dal rimbombo assordante dei passi, o dal ruggito del V8 sovralimentato che spinge la Batmobile, stupendo esemplare di ingegneria meccanica, realmente costruito, emblema del gusto per il retrò che connota il design dell’intera pellicola.
The Batman è un film vero, duro, reale, dove i personaggi raggiungono lo spettatore con i propri sentimenti, paure e tormenti, un film capace di generare emozioni, di far saltare sulla poltrona, metafora calzante di una società, la nostra, sporca e corrotta, ormai giunta al collasso. Ma come ricordava Eric Draven, “Non può piovere per sempre”.
Ecco allora il vigilante rivivere il dramma esistenziale che l’ha reso orfano, scoprire la tanto anelata quanto sconvolgente verità, precipitare nelle acque oscure della violenza per salvare quel poco di buono che ancora resta della sua città, riemergendone purificato e consapevole. Il processo di catarsi è completo, le ferite del passato sono rimarginate. È l’alba di un nuovo giorno, senza pioggia, in cui il vendicatore oscuro può trasformarsi in cavaliere della notte, l’eroe di cui il mondo ha davvero bisogno.