La mano sinistra di Dio ritorna sullo schermo per un reboot conclusivo che lascia in bocca il sapore del sangue.
Dexter Morgan torna sullo schermo, a distanza di otto anni dal termine della serie (Dexter 2006-2013) che l’ha visto protagonista per otto stagioni in Dexter: New Blood, sorta di revival che ha l’intento di porre rimedio alla pessima conclusione del 2013.
Si tratta di una miniserie in dieci episodi che ha un preciso intento: conferire la giusta conclusione ad una delle serie meglio realizzate e più seguite di sempre. La produzione Showtime aveva sofferto terribilmente a causa di un’ultima stagione alquanto inconsistente, scandita da coincidenze pretestuose, colpi di scena senza senso e un finale aperto, banale quanto scontato.
Michael C. Hall indossa nuovamente il grembiule di gomma e il visore trasparente a distanza di tempo, e lo fa in modo assolutamente naturale, come se avesse dismesso i panni della mano sinistra di Dio solo il giorno prima. Tuttavia non è lo stesso Dexter. Dieci anni sono trascorsi da quando l’analista forense della scientifica di Miami ha inscenato la propria morte per fuggire da una vita che non gli apparteneva più.
È invecchiato e si è rifatto una vita ad Iron Lake, una piccola cittadina nell’upstate di New York. Tutti lo conoscono come Jim Lindsay (omaggio allo scrittore Jeff Lindsay che ha dato vita al personaggio), un affidabile ed onesto membro della comunità che pesca sul ghiaccio quando non lavora al negozio d’armi, nutre le sue capre e frequenta serate di ballo nel pub locale con la fidanzata Angela, agente di polizia. Un set-up interessante che, dietro l’apparenza da bravo cittadino di Jim, nasconde l’inevitabile presagio del sangue.
Più aspettativa che speranza, considerando che non si riporta sullo schermo un personaggio come Dexter per vederlo andarsene in giro a intrattenere rapporti di buon vicinato. Ed il sangue, naturalmente, non tarda a scorrere nel momento in cui il dark passenger si risveglia e prende il comando. Tuttavia, dopo dieci anni di inattività, Dexter ha perso lo smalto, è diventato goffo, incerto e meno attento a rispettare il codice di Henry, fatto che gli costerà caro divenendo a tutti gli effetti la coppia motrice dell’intera stagione.
Ciò costituirebbe un grande inizio, una premessa degna di una serie degna di questo nome, se non fosse per il fatto che, focalizzandosi sulla verosimiglianza interna alla narrazione, questo è, in realtà, il primo elemento di una lunga serie – incluse nuove coincidenze – che risulta difficile da credere. Si fatica a ritenere che Dexter sia stato in grado di reprimere per un’intera decade quegli stessi istinti impossibili da contenere nelle precedenti stagioni.
Chiudendo un occhio su questo fatto, altamente improbabile per quanto plausibile, implicitamente giustificato dalla nuova “guida spirituale”, tuttavia mai spiegato, sono altre le incertezze che, per la seconda volta, non rendono giustizia alla conclusione della serie. A cominciare dall’insieme di elementi narrativi concentrati nel primo episodio. Una quantità di materiale narrativo sufficiente per tre stagioni viene compresso in soli dieci episodi che, purtroppo, non hanno un arco narrativo sufficiente per lo sviluppo di tutte le sotto trame.
Il risultato è una rocambolesca rincorsa nel mettere in scena eventi e situazioni che, inevitabilmente, finisce per assottigliare lo spessore dei personaggi, Dexter incluso, e perde pezzi per strada. Manca quella lentezza nello sviluppo della trama e nella ricerca del dettaglio che, nelle prime stagioni, generava suspence, incertezza, tensione e permetteva di conferire spessore psicologico ai protagonisti. Tralasciando tre episodi, dove lo showrunner Clyde Phillips sembra ricordarsi dell’ottimo lavoro fatto quindici anni prima, il resto diventa un’accozzaglia di situazioni generate da coincidenze alquanto inverosimili che fanno procedere la storia in modo tutt’altro che convincente.
Basti pensare all’incontro fortuito tra Angela e Batista durante una conferenza nella città di New York a cui la fidanzata di Dexter decide di partecipare, trovando come speaker proprio l’ex detective, ora capo della Miami Metro Police. Oppure al fatto che lo stesso Dexter sia riuscito a nascondere la sua identità per dieci anni fino a quando una persona del suo passato ricompare all’improvviso, o un’altra scopre informazioni sulla sua vera identità.
Non si può che storcere il naso di fronte a queste situazioni e ad una sceneggiatura che presenta delle inconsistenze lungo tutta la stagione. Purtroppo non bastano le ottime interpretazioni di Michael C. Hall e Clancy Brown per far dimenticare le colpe della scrittura.
Dexter: New Blood, in fondo, vale la pensa di essere vista esclusivamente per guardare il caro vecchio Dexter tornare all’opera, non di certo per assistere nuovamente ad un’operazione di smembramento a colpi di motosega di un finale che, nell’ennesimo bagno di sangue, lascia intravvedere una sociopatica traccia di reboot.