Ghostbusters Afterlife
Ghostbusters Afterlife, Ecto-1 sfreccia attraverso i campi di grano

Se cerchi una nostalgica e degna conclusione che non deluda, e chi chiamerai?

Jason Reitman eredita un compito non facile dal padre Ivan, conferire la degna conclusione – e al tempo stesso ripartenza –  ad una trilogia il cui epilogo è stato anelato, tentato e osteggiato per trentadue anni. Ghostbusters Afterlife, per la gioia dei fan e di chi scrive su questo blog, riesce nell’impresa continuamente rimandata e miseramente fallita da Paul Feig con il suo remake tutto al femminile del 2016.

La pellicola è un grande omaggio ai personaggi immortali creati da Dan Aykroyd e Harold Ramis nel 1983 e, al tempo stesso, celebra il lavoro di Reitman senior che, l’anno seguente, rende tali personaggi protagonisti di un film divenuto cult e fenomeno culturale tanto da influenzare un’intera generazione.

Ghostbusters Afterlife appaga questa generazione, quella cresciuta negli anni ottanta, “ed è autentico” per usare le parole dello stesso Ray Stanz, perché capace di suscitare emozioni, quelle vere, quelle che il cinema ha cercato di provocare nello spettatore sin dalla sua nascita, quando ancora non esistevano sceneggiature, soggetti, storie.

Sempre più spesso, infatti, pubblico e critica dimenticano che la narrazione non è fatta esclusivamente di eventi, non sempre è la cosiddetta storia ad essere protagonista, a volte essa diventa solo il pretesto, l’elemento denotativo attorno al quale si costruisce un impianto meta comunicativo che ha l’obiettivo di colpire lo spettatore sul piano emozionale.

Ghostbusters Afterlife non è il lungometraggio dalla sceneggiatura perfetta o dal soggetto originale, al contrario, ma gli elementi di scrittura e di plot che non funzionano diventano di secondaria importanza. Molte sono le citazioni e i rimandi all’opera del ’84, tanto che intere sequenze sono girate nello stesso modo e pongono Phoebe, Trevor, Callie e Gary nelle medesime situazioni in cui il Dr. Peter Venkman e compagni sono incappati trent’anni prima.

La stessa malvagia e soprannaturale entità motore della vicenda, Gozer il Gozeriano, Gozer il Distruttore, Volguus, Zildrohar, Signore del Sebouillia, ricompare in grande stile, ora con le sembianza di Olivia Wilde, per il decisivo scontro finale. Insieme alla forma del “Distruggitore” giunto da una delle più vicine dimensioni parallele, tornano anche i suoi seguaci, il Mastro di chiavi Vinz Clortho e il Guardia di porta Zuul in quell’indimenticabile forma canina dagli occhi rossi e dalle corna taurine.

Piccoli dettagli disseminati qua e là lungo tutti i 124 minuti, dal plumcake alla carta della barretta di cioccolato con cui Venkman premia Spengler, passando per una miriade di altri particolari inseriti in modo maniacale nei diversi livelli dello spazio filmico e l’impiego di quegli stessi inquietanti effetti sonori, marchio di fabbrica dell’originale.

Alla miriade di easter egg si aggiungono Ivo Shandor, superuomo, architetto geniale e autentico pazzo, portato in scena dal cameo di J.K Simmons e il siparietto finale, prima dei titoli di coda, che da solo vale il prezzo del biglietto.

Questa operazione di rimandi e citazioni si trasforma in vera e propria autoreferenzialità nel momento in cui Reitman junior mostra Gary e Phoebe che guardano brevi sequenze del film originale su un canale YouTube. Il cinema che parla di se stesso in un processo meta-narrativo si trasforma, ora, in una sorta di dialogo tra padre e figlio, in cui le rispettive pellicole incrociano i propri flussi, senza tuttavia generare un’inversione protonica totale, ma divenendo, al contrario, una l’estensione e la continuazione dell’altra.

In Ghostbusters Afterlife la narrazione scorre veloce e avvince, nonostante alcune incertezze, tra gag esilaranti, battute sagaci e, ovviamente, la caccia ai fantasmi che non risparmia colpi di fucile protonico e inseguimenti con una vecchia e arrugginita Cadillac Ambulance Miller-Metor targata ECTO-1.

Se l’impianto visivo ha esplicitamente un che di spielberghiano, richiamando alla memoria le produzioni Amblin (E.T., Gremlins, The Goonies, Back to the future, Jurassic Park, ecc.), con quell’evidente caratterizzazione di ambienti, oggetti e situazioni tipici degli anni ’80 e ’90, che di certo soddisfa i nostalgici della Generazione X, dall’altro è il cast a costituire il vero ponte di contatto con il pubblico più giovane, aprendo così la possibilità a nuovi capitoli che non siano necessariamente dei sequel.

Paul Rudd (Gary), McKenna Grace (Phoebe), Finn Wolfhard (Trevor), Carrie Coon (Callie) conferiscono spessore alla pellicola e grazie alla loro ottima interpretazione danno vita a dei personaggi credibili e rocamboleschi capaci di strappare sane risate.

Ghostbusters Afterlife non è solo una nostalgica celebrazione della pellicola cult di Reitman padre e non è solo un film per i fan, ma è soprattutto un toccante omaggio alla vera colonna portante degli Acchiappafantasmi, è un film per lo sceneggiatore e per lo scienziato dalle mani d’oro che colleziona spore, muffe e funghi, questo è un film “Per Harold”.

★★★☆☆ Consigliato