Disturbante horror-drama che esplora la discriminazione razziale in modo estremo e provocatorio.
Serie antologica di dieci episodi, Them, nella sua prima stagione, mette in scena una rappresentazione esasperata, dura e violenta del razzismo a cui erano sottoposte le persone di colore nell’America degli anni cinquanta, in seguito a quella che venne definita la Seconda grande migrazione afroamericana.
Metafora eloquente di quanto fosse terrificante essere di colore nel 1953, la serie porta di nuovo sullo schermo una problematica sociale che, a distanza di settant’anni, come una presenza maligna e diabolica, continua ad infestare la società, nonostante l’integrazione razziale sia, apparentemente, ormai un dato di fatto. Per riportare l’attenzione sul dramma che le persone di colore continuano a vivere ancora oggi, anche se in forme molto diverse, non stupisce quindi che Little Marvin e Lena Waithe decidano di ricorrere all’horror, perché in quel clima, sopportare angherie di tale crudeltà era, di fatto, come vivere in un film dell’orrore.
Il genere, grazie ai suoi stilemi, consente di colpire duro, nel tentativo di far sperimentare allo spettatore quello stesso terrore che gli afroamericani hanno letteralmente sofferto sulla loro pelle, come il marchio a fuoco del diavolo. Marvin e Waithe dipingono, in modo volutamente provocatorio ed estremo, una società bianca depravata e malata, permeata dall’odio, in cui non esiste possibilità di redenzione, dove gli stessi abusanti sono abusati e i violenti sono violentati da familiari o conoscenti.
Attorno a questo scenario già di per sé raccapricciante, si instaura l’impalcatura horrorifica soprannaturale, coerente e ben costruita, anche grazie a flashback inquietanti che fanno risalire l’odio razziale agli albori della società americana. Un intero episodio, metafora nella metafora, viene dedicato a questa costruzione di significato, enfatizzando quanto il razzismo sia radicato nella cultura a stelle e strisce.
L’episodio in questione colpisce perché stravolge lo stile della narrazione e si colloca quasi come un film a se stante, horror dentro l’horror, dalle tinte western e girato in bianco e nero. Them sembra utilizzare la commistione di generi per veicolare un meta-significato di secondo livello: la società non può essere composta da una sola cultura. Molti sono gli spunti di critica sociale, non manca, infatti, la denuncia dell’omofobia e delle atrocità perpetrate durante la guerra, nello specifico quella di Korea, in cui si faceva largo uso del gas mostarda.
Degne di nota le performance di Deborah Ayorinde (Lucky Emory), Ashley Thomas (Henry Emory) e Allison Pill (Betty Wendell) che danno vita a dei personaggi intensi, ben caratterizzati, capaci di conferire pienamente il peso del dazio che quella vita, condotta in un mondo inesorabilmente ostile, gli ha imposto: il completo annichilamento della psiche e la consunzione dell’anima, entrambe consumate, esaurite nello sforzo di sopravvivere.
L’impianto scenico, sorprendentemente curato nei dettagli, cattura perfettamente l’elegante e pulita estetica degli anni cinquanta, restituendo l’atmosfera del tempo. Altrettanto pregevoli sono le scelte dei registi, capaci di utilizzare una scrittura filmica coerente lungo tutto lo sviluppo della vicenda. Un’impronta caratterizzata da inquadrature, movimenti di macchina e scelte di montaggio che creano una vera e propria narrazione visiva di hitchcockiana memoria (Il cinema secondo Hitchcock, Truffaut, 1962) che si unisce ad un sapiente utilizzo della molto suggestiva colonna sonora.
A lasciare un po’ di amaro in bocca, dopo tante cose ben costruite, è purtroppo la sceneggiatura che, nel tentativo di scioccare lo spettatore, facendolo afferrare alla giugulare da una gelida stretta demoniaca, per fargli sperimentare la violenza contro i corpi dei neri, carica la narrazione di molti, forse troppi elementi senza però approfondirli completamente. Si assiste allora a delle situazioni che vengono risolte un po’ troppo velocemente, contrastando con l’ottimo lavoro fatto nella caratterizzazione di alcuni personaggi.
A volte le ellissi tra un episodio e l’altro sono notevoli e si fatica a ricostruire ciò che manca, oppure si perde di vista il fil rouge che collega alcune sotto trame alla storia principale. Questo si riflette negativamente su personaggi secondari che vengono poco delineati o su tematiche sociali solo abbozzate, ma che di fatto, proprio per questo, aggiungono poco o niente al dramma di fondo. La sceneggiatura zoppica anche nei flashback e in altre situazioni in cui la messa in scena della violenza risulta, in alcuni frangenti, un po’ grottesca e non sempre giustificata.
Them rimane una serie antologica solida, ben girata e nel complesso ben costruita, che porta in scena una tematica sociale in modo di certo provocatorio con uno stile pregevole, ma infestata da oscure presenze che ne turbano l’equilibrio narrativo.