Monotono sci-fi drama che annoia senza portare nulla di nuovo nel panorama della cinematografia contemporanea.
Soggetto prediletto della fantascienza, l’esplorazione del cosmo è uno degli archetipi su cui il genere ha costruito le proprie fondamenta. Astronauti ed astronavi ne sono i protagonisti in un rapporto simbiotico tra intelligenza organica ed artificiale capace di condurre l’umanità oltre le colonne d’Ercole, verso lo spazio profondo, sconfinato e temibile.
Ogni viaggio intrapreso, da 2001: A Space Odyssey a Gravity, passando per Alien, Apollo 13, Solaris, Sunshine, The martian, Interstellar, è stata l’occasione per esplorare grandi temi e cercare risposte ad ancora più grandi quesiti come, l’origine della vita, la ricerca del sé, il significato dell’etica e della morale, il rapporto con l’altro e con la solitudine, la fragilità dell’esistenza umana. Stowaway non è nulla di tutto questo.
Il lungometraggio diretto da Joe Penna presenta falle in tutti i compartimenti: il soggetto tutt’altro che originale, non convince, la regia incolore cerca di catturare l’attenzione attraverso la rottura di alcuni stilemi che diventano pretestuosi e fini a se stessi, ma ciò che porta alla decompressione totale è la sceneggiatura. Due ore di pellicola che tergiversano noiosamente, senza alcuna suspence, prima di giungere all’evento centrale, prevedibile dopo i primi venti minuti, attorno al quale si dovrebbe costruire il dramma della vicenda.
Al contrario quello che si ottiene è uno spettacolo affettato, in cui il susseguirsi degli avvenimenti è di una banalità incredibile, dove l’unica cosa che rimane al termine della visione è il senso di vuoto lasciato da una freddura che rasenta lo zero assoluto.