Sci-fi drama solido e ben costruito calato nell’ucronica lotta tra U.R.S.S. e U.S.A. per la conquista dello spazio.
Solida ucronia, ben costruita anche se un po’ patinata e asettica, che giunge alla sua seconda stagione, con un’ellisse temporale di circa un decennio, proiettando lo spettatore dagli anni ’70 direttamente al 1983. Ronald D. Moore mette in scena una commistione di generi tra la fantascienza del suo splendido Battle Star Galactica e il dramma storico – in questo caso allostorico – dell’altrettanto suo Outlander dove, ancora una volta, le donne sono protagoniste.
Al pari dell’epopea del Galactica, anche qui, nonostante l’Ed Baldwin di Joel Kinnaman – foriero di un’altra ottima performance – che tende ad occupare la scena più di altri personaggi, non emerge distintamente un vero protagonista. Se da un lato ciò spiazza il pubblico e la critica più naive, dall’altra, invece, permette di arricchire l’impianto narrativo con molteplici storie, popolate da personaggi che si sviluppano durante tutto l’arco della vicenda, costruendo l’impalcatura di senso che veicola uno dei tanti messaggi di fondo: certi traguardi non si raggiungono solo grazie alle capacità del singolo.
E di tematiche importanti For all Mankind ne affronta diverse, dall’emancipazione della donna all’omosessualità, passando per l’eterna corsa agli armamenti e l’inestinguibile antagonismo tra Russia e Stati Uniti, tutte trattate in modo più o meno critico, senza risparmiare incongruenze e strumentalizzazioni, anche se infarcite con una buona dose di patriottismo americano. Ciò che non convince fino in fondo e lascia un po’ di amaro in bocca nonostante la glassa di retorica, è la distanza che si percepisce da alcuni personaggi che non riescono a bucare lo schermo con le proprie emozioni e raggiungere lo spettatore.
Se da un lato, infatti, ci sentiamo pienamente coinvolti nel dramma di Ed e Karen, le vicende delle varie Margot, Ellen, Molly rimangono dietro una sorta di patina che le rende molto più cerebrali che emotive. Più dramma che sci-fi, For all Mankind propone una riflessione sulle conseguenze che un determinato evento può avere sull’esistenza di persone che lottano per adattarsi alla causalità della vita, facendo però indossare allo spettatore una tuta spaziale che lo ripara dalle emozioni provenienti dallo spazio profondo oltre lo schermo.