Una promettente stella nel firmamento delle distopie che non riesce però a solcare il cielo di mezzanotte, spegnendosi troppo presto.
George Clooney torna dietro la macchina da presa dopo Suburbicon (2017) in questo sci-fi drama che intriga e piace per l’estetica minimalista, ma la tensione su cui si regge l’impianto narrativo evapora lentamente come la scia di una cometa. La distopia post-apocalittica si fonde con l’esplorazione spaziale. The midnight sky racconta di un futuro in cui la terra viene sconvolta da un cataclisma ambientale mentre è nelle sue prime fasi il programma di colonizzazione di K-23, satellite di Giove.
Un soggetto tipico della fantascienza che, a dispetto della sua scarsa originalità, permette a Clooney di focalizzare la macchina da presa sul dramma che si consuma nella vita dei protagonisti. Così la narrazione si alterna tra, il solitario tentativo, da parte dell’ultimo uomo rimasto sulla superficie del pianeta, di avvisare gli occupanti della nave spaziale Aether di quanto accaduto alla Terra e le difficoltà che gli astronauti incontrano nel rientro dalla missione esplorativa su K-23. Le due storie procedono parallele in un montaggio alternato che affianca il baratro di rimpianti e solitudine in cui a stento sopravvive Augustine, alla speranza, all’attesa del ricongiungimento e di ritorno alla vita che i cosmonauti della Aether portano con sé nel rientro a casa.
La tensione drammatica che attraversa queste due storie non raggiunge mai il suo climax, allentandosi terribilmente con l’incedere del racconto. La sceneggiatura tergiversa troppo su momenti transitori, togliendo spazio alla caratterizzazione dei personaggi. Di poco aiuto sono i flashback il cui intento di indagare la psicologia del protagonista risulta superficiale e lasciano quesiti senza risposta. Allo stesso modo la problematica situazione vissuta dagli astronauti, assolutamente pretestuosa, contribuisce solo ad allungare la traiettoria della pellicola, conducendola fuori rotta.
The midnight sky è un film che racconta di occasioni mancate, di perdita, di isolamento dalle relazioni e gli effetti che questo comporta, ma troppo è lasciato nell’inesplorato territorio dell’implicito e del non detto, non solo a livello verbale, tanto che ci si aspetta in ogni momento il distacco dell’ultimo modulo, quell’accelerazione finale verso la meta che, in realtà, non può avvenire perché la deviazione di rotta ha consumato, anzitempo, troppo propellente.