Toccante rappresentazione della diversità declinata nell’accettazione dell’altro per quello che è.
Toccante rappresentazione della diversità declinata nell’accettazione dell’altro per quello che è, non per quello che rappresenta, è stato o potrà essere. Una critica forte alla società americana, bigotta e discriminante, portata sullo schermo in modo dimesso, tuttavia penetrante. I protagonisti non sono eroi o personaggi fuori dal comune che incarnano valori e ideali di rettitudine, ma persone ordinarie che vivono ai margini della società, semplicemente in cerca di una possibilità: chi per una prima come il piccolo Sam, chi per una seconda come il protagonista Palmer.
A dispetto di una trama non originale, o di una regia non particolarmente degna di nota, la sceneggiatura sostiene bene lo sviluppo della vicenda e la recitazione concorre pienamente a conferire il senso del dramma in una vita “normale”. La situazione di estremo disagio in cui vive Sam dà fastidio e fa male, soprattutto se contrapposta al suo candore e alla sua schiettezza. È proprio la capacità del bambino, di vivere nel presente, senza compromessi, senza paura, perché quella è la sua natura, a fare breccia nel cuore indurito di Palmer, nei suoi pregiudizi.
Solo nel momento in cui il carcerato fuori sulla parola accetta Sam per quello che è, senza giudizio, riesce ad accettare anche se stesso e ad andare oltre, abbracciando la sua condizione, parlandone apertamente con Maggie, affrontando il giudice per la custodia del piccolo Sam. Un percorso che giunge alla catarsi ultima simboleggiata dalla consegna delle chiavi della scuola da parte del capo inserviente. Un film che parla di persone emarginate, private della loro dignità da atteggiamenti che la società da un lato condanna e dall’altro tollera in modo silenzioso ed omertoso, ricordandoci che sono esseri umani, dotati di sentimenti, emozioni, debolezze, e per questo incredibilmente complessi e degni del nostro incondizionato rispetto.