Mitologia greca senza pathos, un paradosso.
Il remake di Clash of the Titans (Scontro tra Titani) diretto da Louis Leterrier, al tempo rischioso ma ben visto da molti, è un film che, dalle premesse, avrebbe dovuto incollare allo schermo milioni di spettatori, lasciandoli a bocca aperta per lo stupore. Ciò che invece stupisce è l’inconsistenza della pellicola, anche paragonata al suo predecessore, Scontro di Titani, firmato Desmond Davis e datato 1981.
Dopo Zack Snyder con 300, Hollywood cerca di riportare alla ribalta il tanto amato “peplum”, fallendo clamorosamente. Il film, più che una lectio sui generis di mitologia greca, è un insieme di semplicismi e di disprezzo per la classicità, molto più dell’originale. Le epiche gesta di Perseo, nato da un dio ma cresciuto tra gli uomini, sono infatti raccontate attraverso dialoghi artificiosi, una recitazione quasi parodistica, effetti speciali fini a loro stessi e una regia che non emoziona ma annoia anche dinanzi a una storia simile.
La cosa che più colpisce è la mancanza di pathos nel raccontare imprese epiche come quelle del mito greco, che fanno proprio del pathos il cardine su cui si regge il loro impianto narrativo. In questo film non funziona nulla. I dialoghi sono tanto costruiti quanto banali, al pari della recitazione. Assolutamente fuori luogo la rappresentazione degli dei, tanto per averli vestiti in armature tardo medievali, quanto per quel fastidioso ed esagerato effetto di riflesso abbagliante dovuto alle superfici metalliche delle armature stesse.
L’azione non conquista, non coinvolge, ma tentenna attraverso una regia incapace di andare oltre alle semplici, per quanto suggestive, panoramiche aeree. Gli effetti speciali certamente notevoli fanno però semplice sfoggio di sé, non essendo funzionali alla narrazione. Se da un lato, infatti, non convince la battaglia contro gli scorpioni giganti, che ricordano molto, forse troppo, i Transformers di Michael Bay, dall’altro sembra assolutamente sprecata tanta profusione di effetti per realizzare il Kraken, bestia primordiale e gigantesca la cui presenza, più scenografica che altro, si riduce a qualche spicciolo minuto.
Una sceneggiatura impersonale e facilmente intuibile nel suo svolgimento non dà il giusto peso alle situazioni, lasciando che tutto accada troppo velocemente. Così Perseo da pescatore qual è si trasforma, nell’arco di una sequenza, in prode guerriero, grazie a una lezione di spada durata pochi istanti. La caratterizzazione dei personaggi è pressoché inesistente. Di alcuni non se ne capisce nemmeno la presenza. È il caso dei due guerrieri reclutati all’ultimo momento da Perseo, cui dovrebbe essere demandata la funzione di elementi comici, ma che in realtà fanno solo delle comparsate, per lo più senza un senso logico-narrativo
In questo naufragio di belle speranze anche la recitazione va alla deriva, non spingendosi oltre la mono espressione del Perseo Sam Worthington e le occhiate sognanti di Gemma Arterton, la sacerdotessa Io. Per non parlare di un affettato Liam Neeson, che sembra aver perso tutto il suo carisma impersonando proprio Zeus, il re degli dei.
Gli unici a salvarsi in questo disastro mitologico sembrano essere Ralph Fiennes capace di dare quantomeno dignità al suo Ade, e Mads Mikkelsen, nei panni di Draco. A regalare qualche emozione rimangono giusto la caccia a Medusa, convincente perché realizzata in modo originale, e lo scontro con il Kraken, che, per quanto troppo veloce, aiuta quantomeno a riprendersi dalla sonnolenza.